Storia della ristorazione valtellinese: e poi arriva l'insalata russa
Nel post precedente vi ho raccontato come la ristorazione degli anni cinquanta fosse particolarmente legata alla tradizione. I vini proposti erano sempre quelli locai e i piatti preparati con materie prime del territorio: pollastri, carni bovine e caprine, pesce, selvaggina, uova, formaggio, farina di grano saraceno, funghi, mele, pere ma anche lumache, rane.
Ma poi arrivano gli anni sessanta, il boom economico, il turismo di massa, la costruzione di nuovi alberghi e di seconde case che modificano l'assetto urbanistico dei principali paesi turistici della provincia. Nuovi posti di lavoro nel turismo, nella ristorazione, nuove imprenditorialità, spesso improvvisate, non sempre accompagnate da capacità e competenze specifiche. I menu della tradizione, tipici degli anni cinquanta, vengono lentamente cancellati, rimpiazzati da piatti della cucina nazionale. Le materie prime locali sono sempre più snobbate, sostituite da ingredienti provenienti da fuori provincia: formaggi, carni, salumi, verdura, frutta, vini ... in nome di una modernità che vuole dimenticare il mondo contadino locale, segno di povertà, di miseria subita per troppo tempo. E così le materie prime industriali, pubblicizzate dalla televisione, dalle riviste specializzate, dai rappresentanti di commercio, entrano di prepotenza nelle cucine dei ristoranti valtellinesi.
Nuovi albergatori, nuovi cuochi, cresciuti nel mondo contadino, che dimenticano in fretta le proprie radici. Gli anni sessanta/settanta sono gli anni dei piatti raffinati, il vitello tonnato, l'insalate russa, l'insalata capricciosa, le tagliatelle al salmone, le penne alla wodka, i tortellini alla panna, i filetti al pepe verde, le cotolette alla milanese. I pranzi di nozze con il salmone in bella vista, le cascate di prosciutto crudo realizzate con i bicchieri, i vini romagnoli o dell'Oltrepò pavese.
I negozi di prodotti tipici sono rarissimi. Ne ricordo pochi, Morbegno, Sondrio, Chiavenna, Bormio. Ne ricordo alcuni sulla statale 38 che invitavano i turisti con brutti cartelli scritti a mano, dove poi i formaggi e i salumi erano presentati in malo modo, senza personalizzazione, senza un minimo di identità, senza neppure la certezza che fossero prodotti sul nostro territorio. Sono i tempi dei camioncini di venditori di formaggi e salumi fermi ai bordi della statale. Ancora cartelli con "prodotti tipici" che invitavano i turisti a fermarsi, ma spesso i formaggi venivano dal Veneto. E poi ricordo le cassette di mele sparse sulla 38 da Tirano a Sondrio, ma almeno lì erano i produttori stessi che vendevano.
Ho un ricordo preciso di quegli anni.
Era il 1981. Insegnavo scienze
dell'alimentazione in un istituto professionale alberghiero e per capire meglio
il mondo della ristorazione avevo chiesto ad un amico, proprietario di un albergo in un'importante località turistico in
Valtellina, di poter lavorare per un mese nella cucina del suo ristorante. Erano
i tempi del turismo dello sci, del pienone dei primi quindici giorni di agosto,
del cercare di riempire la cassa sfruttando il più possibile i flussi turistici
della domenica, del Natale, della Pasqua, del Ferragosto. I verbi fidelizzare e destagionalizzare
erano sconosciuti, le parole sinergia e collaborazione erano ignorate, così
come valorizzazione di un territorio attraverso l'enogastronomia.
In quel mese di agosto, nella cucina dell' albergo, sbucciavo le patate, pulivo la verdura, svolgevo le mansioni meno impegnative, quelle che richiedevano poca professionalità, mi guardavo in giro, seguivo i lavori del cuoco e aiuto cuoco. Ricordo che mi ero subito stupito nel vedere i menu proposti: affettati con insalata russa, spaghetti al pomodoro o al ragù, lasagne, cannelloni, cotolette alla milanese, salsicce ai ferri. Sì, i pizzoccheri c'erano, ma gli ingredienti per prepararli non erano locali. Formaggi e burro provenivano da chissà dove. Anche le tagliatelle di farina di grano saraceno, già confezionate, erano di pessima qualità, si rompevano subito. La linea pizzoccheri in cucina era fatta da tre bacinelle contenenti le tagliatelle, le patate, le verze, tutte precedentemente cotte, pronte per essere mescolate in uno scolapasta con manico e riscaldate in immersione in un pentolone di acqua bollente. Una piccola teglia, di dimensione diverse secondo l'ordinazione, una manciata di pezzettini di formaggio, una spolverata di formaggio grattugiato, una innaffiata di burro spesso mischiato con olio, sempre pronto sulla piastra della cucina, tre minuti nel forno. E "pronti i tre pizzoccheri ..." gridava lo chef.
I formaggi serviti erano ordinari, senza personalità, si serviva il taleggio come formaggio molle. La bresaola era presentata con improponibili carpacciamenti, rucola, funghi o coperta da oli extravergini provenienti dal Marocco o addirittura oli di semi. Spesso il succo di limone galleggiava sul piatto. Il vino valtellinese era raramente proposto ai turisti, anzi spesso sconsigliato dagli stessi camerieri perché "troppo pesante". Eppure, anche allora la superiorità dei nostri prodotti, formaggi, salumi, vini era già apprezzata da diversi consumatori che ricercavano i prodotti del territorio. Cuochi, camerieri non conoscevano la storia della nostra cucina, dei nostri prodotti tipici. Mangiare in Valtellina era come mangiare in Brianza. Non c'era differenza
Gli anni ottanta sono gli anni del lento recupero della cucina del territorio grazie anche alla nascita dei primi agriturismi. Ricordo la polenta concia di Olesia a Categno, le costine al lavec e le manfrigole di Cerasa a Ardenno, il riso con casera e bresaola nella mela di Kica a Caiolo. Agriturismi ma anche semplici trattorie sempre più ricercate. Ricordo i pizzoccheri e sciatt di Nello a Ponte o quelli del Fancoli a Chiuro, i pizzoccheri bianchi del Cardinello a Isola-Madesimo, gli gnocchetti della trattoria Pace di Grosio con il conto finale scritto con il gesso su una lavagnetta, la carne alla griglia della trattoria Mossini.
Ma anche in ristoranti più raffinati non mancanvano i piatti della nostra tradizione, il giusto abbinamento tra tradizione e materie prime, la valorizzazione dei vini del territorio: la Lanterna Verde di Villa di Chiavenna, il Cenacolo e il Passerini a Chiavenna, Il Crotasc a Mese, l'Osteria del Crotto e il ristorante dell'Hotel Margna a Morbegno, il Campelli ad Albosaggia, il Combolo a Teglio, il Sassella da Jim a Grosio.
Poche realtà all'interno di un sistema di accoglienza ristorativa, soprattutto alberghiera, che per molto tempo rimane ancora ancorato a piatti della cucina nazionale.
Negli anni novanta la parola enogastronomia valtellinese comincia ed essere usata e conosciuta. Arriviamo i primi riconoscimenti europei per i nostri prodotti di eccellenza, la Dop per Bitto e Valtellina Casera, l 'IGP per bresaola e mele; nascono i consorzi di tutela, più tardi il Multiconsorzio che inizia a promuovere coralmente l'eccellenza enogastronomica provinciale.. La tipicità valtellinese esce sempre più dai confini provinciali, stampa, mostre e fiere importanti come il salone del gusto di Torino, Cibus a Parma, Vinitaly a Verona, ma anche fiere internazionali estere senza dimenticare il localismo provinciale dove le varie manifestazioni enogastronomiche attirano sempre più i turisti desiderosi di conoscere e assaggiare i nostri prodotti.
I timidi tentativi di creare una destinazione Valtellina enogastronomica cominciano finalmente a portare i primi successi. La ristorazione lentamente si adegua. Arrivano anche le stelle delle principali guide gastronomiche nazionali. Le carte dei vini con una buona scelta di etichette valtellinese iniziano ad aumentare, i formaggi locali sono sempre più presenti nei vari menù, le nuove leve della ristorazione, provenienti dalle scuole alberghiere, cominciano a capire l'importanza della valorizzazione dei prodotti d'eccellenza valtellinesi e nei vari menù i piatti della cucina del territorio sono sempre presenti. Gli enti pubblici intensificano la creazione di occasioni di valorizzazione e conoscenza dei nostri prodotti, anche attraverso la realizzazione di percorsi ciclabili tra le bellezze della valle.
Ma se oggi la destinazione Valtellina è sempre più enogastronomica, va ricordato che c'è sicuramente ancora molto da fare, nella completa utilizzazione nelle varie cucine dei prodotti del territorio, nel differenziare i vari piatti, nel innovare, introducendo piatti nuovi, sempre legati al territorio in alternativa agli inflazionati affettati misti, polenta e pizzoccheri, in una maggior introduzione e promozione dei nostri vini, nel portare nei consumatori valtellinesi la conoscenza enogastronomica, nell'unire tutte le energie soprattutto economiche per la promozione di una destinazione corale, dimenticando i localismi, nell'obbligare gli organizzatori delle varie sagre estive ad utilizzare i prodotti valtellinesi, nel valorizzare le aziende che producono i nostri prodotti di eccellenza. E allora forza, tutti insieme, turisti, ristoratori, commercianti, produttori, consumatori valtellinesi. Forza, come dice il titolo della bella pubblicazione dell'Unione Commercio di Sondrio... "AssaporiAMO la Valtellina."