Lassù dove si producono i formaggi d'alpeggio

02.07.2020

Sono partiti. Hanno lasciato le loro stalle sul fondo valle e si sono trasferiti con le vacche e le capre sui ricchi alpeggi della provincia di Sondrio. Qualcuno ha portato anche il maiale, le galline, gli animali di bassa corte come si faceva una volta.

Sono partiti perché la transumanza appartiene alla storia della nostra agricoltura, a quel nomadismo che iniziava in aprile e terminava anche a novembre sfruttando tutta la potenzialità foraggera della montagna dal maggengo all'alpeggio.

Sono partiti perché l'alpeggio è ancora una risorsa rilevante e il reddito della monticazione ha ancora un'importanza strategica nell'economia aziendale.

Sono partiti perché c'è ancora una magica attrazione per quella vita che hanno fatto i nonni, i genitori e che è giusto che anche i figli inizino ad apprezzare. E allora spesso intere famiglie, si ritrovano per partecipare alla condivisione di una vita in montagna fatta di lavoro, di sacrifici, di permanenza per alcuni mesi in spazi piccoli, in promiscuità. Mamme, papà, bambini, nonni, tutti insieme, uniti per produrre i migliori formaggi di alpeggio: Bitto, Storico Ribelle, Grasso d'alpe, Semigrasso d'alpe e poi Burro e Ricotta.

Formaggi che indipendentemente dalle tecniche di lavorazione, (Bitto e Storico Ribelle sono per esempio sempre prodotti obbligatoriamente due volte al giorno, subito dopo ogni mungitura) hanno alcuni denominatori comuni importanti: l'utilizzazione del pascolo per l'alimentazione del bestiame e l'utilizzazione de latte esclusivamente crudo. Due particolarità che conferiscono ai formaggi d'alpeggio caratteristiche peculiari: il bel colore giallo paglierino della pasta, l'aroma e l'odore particolare che ricordano spesso la montagna, il sottobosco, il sapore deciso e soprattutto quelle caratteristiche di unicità che differenziano ogni singola forma. Tutto dipende dalla qualità delle erbe che le vacche mangiano e soprattutto dalle lente trasformazioni chimiche dei microorganismi naturali presenti nel latte.

E se negli ultimi anni in diversi alpeggi alcune pratiche tradizionali sono scomparse con l'introduzione dei carrelli di mungitura o l'introduzione della salamoia in alternativa alla salatura a secco, la vita in alpeggio non è cambiata.

Il latte nella vecchia caldaia di rame viene ancora riscaldato con la combustione della legna, il fumo esce sempre dalle piccole finestra e dalla porta, le operazioni di caseificazione e gli strumenti di lavorazione sono sempre gli stessi, gli spazi per la permanenza degli addetti alla conduzione dell'alpeggio sono sempre ridotti.

Ma quanti sono oggi gli alpeggi presenti in provincia di Sondrio?

Gli alpeggi caricati e autorizzati per la trasformazione casearia sono circa 120. Erano 370 nel 1951, 393 nel 1960, 290 nel 1980 e 224 nel 1995.

Le vacche monticate sono oggi circa 7.000 su un patrimonio provinciale di 14.000 (50%); nel 1980, erano 11.000 su un patrimonio provinciale di 20.000 (60%) e nel 1995 erano 7.000 su un patrimonio provinciale di 15.000. (47%)

Nel 1980 il personale impiegato era di 1278 unità, nel 1995 era già sceso a 995 e, oggi si stima un numero di circa 500 unità.

Certo, sono sicuramente lontanissimi i tempi che permettevano la tradizionale organizzazione gerarchica con la presenza in ogni alpeggio di 10/15 persone con compiti diversi. (pastore, casaro, aiuto casaro, cascin, casiner...)

Ma in compenso negli ultimi anni si è visto un graduale avvicendamento generazionale con una forte diminuzione dell'età degli addetti. Dati che smentiscono la convinzione della predominanza di individui anziani e della mancanza di figure femminili. Nel 1995 il 58 % degli addetti aveva un'età al disotto dei 45 anni, il 34% da 45 a 65 anni e solo l'8 % al di sopra dei 65 anni. Sempre nel 1995 circa il 30% delle presenze era femminile. Attualmente l'età è ancora diminuita con un notevole aumento di giovani, una presenza sempre maggiore di donne e di conseguenza di bambini che spesso partecipano alla vita dell'alpeggio. L'alpeggio è ancora per i più piccoli un modo diverso di vivere l'estate. Un'esperienza che meriterebbe di essere vissuta da tutti i preadolescenti per un periodo anche breve ma utile per capire cosa è il sacrificio, e come si può vivere lontano dalle comodità del fondovalle.

La storia della nostra cultura contadina del resto ci dice che l'alpeggio è stato per molti valtellinesi una scuola di vita. Oggi pur non volendo enfatizzare quel mondo pieno di sacrifici, di rinunce, di lavoro faticoso, ma anche spesso di sfruttamento di mano d'opera minorile, va forse rivisto come esperienza positiva che potrebbe essere apprezzata da tanti ragazzini che finite le scuole non sanno come occupare il tempo.

Ci sono in alpeggio diversi lavori semplici, non faticosi che potrebbero essere svolti da ragazzi inesperti. L'alpeggio potrebbe diventare così un'occasione per passare un periodo delle vacanze estive in ambiente nuovo, a contatto con la natura, vicino a persone diverse, riscoprendo una parte di quella cultura contadina che purtroppo le nuove generazioni non conoscono. Un campo estivo, sotto la guida attenta di qualche educatore che potrebbe trasformare l'esperienza anche in una proposta didattica legandola a quelle tematiche culturali, naturalistiche, ed ambientali che generalmente vengono affrontate nei percorsi scolastici dei giovanissimi.

Una proposta nuova che andrebbe inserita in un progetto globale predisposto in collaborazione con le scuole medie inferiori, con lo scopo di avvicinare i giovanissimi a quel mondo agricolo così spesso dimenticato e di dare un minimo aiuto al caricatore dell'alpeggio per quei lavori più semplici e meno faticosi che comunque richiedono sempre tempo prezioso.