Il cameriere che non c'è più

21.04.2024

 Nessuno vuole più farlo. I ristoratori sono alla perenne ricerca di personale qualificato, con grosse difficolta, non riuscendo più a soddisfare le proprie esigenze organizzative, costretti anche a ridurre il numero dei coperti. 

 Ma esiste ancora il cameriere? 

 Quello con la divisa perfettamente pulita e stirata, quello che sa consigliarti un piatto, quello che quando chiedi informazioni sul piatto riesce a esaudire la tua curiosità senza dirti chiedo allo chef, quello che sa consigliarti il vino e sa aprire la bottiglia nel modo corretto? 

No. Oggi nella maggior parte dei casi ti serve "un porta piatti", una persona che senza quella minima cultura enogastronomica necessaria per rendere il suo lavoro diverso, senza passione, trasporta il piatto dalla cucina alla sala. E allora per quale motivo un giovane dovrebbe fare un lavoro così ripetitivo, spesso senza rispetto da parte del cliente, senza soddisfazioni, senza gratificazioni, solo per uno stipendio non elevato per ricevere magari neanche un grazie da chi ha ricevuto il suo servizio?

Anche i pochi ragazzi che escono dai corsi di sala dalle scuole alberghiere spesso non trovano in provincia le condizioni organizzative per un lavoro dignitoso che li accompagni nella crescita personale e professionale, che li motivi, che li faccia partecipi di un progetto di accoglienza turistica necessario in una provincia che vuole promuovere il proprio territorio. E dopo un periodo di "porta piatti", con lavoro quotidiano frammentato in turni che li tengono "occupati" per 12/14 ore, senza mai una turnazione di riposo il sabato e la domenica, preferiscono andare in Svizzera o cambiare lavoro.

Ma se crediamo che la provincia di Sondrio possa veramente crescere ancora dal punto di vista turistico, se crediamo che le Olimpiadi del 2026 siano un evento strategico per il nostro territorio, dobbiamo creare le condizioni perché la ristorazione possa avere personale qualificato, uscendo dalla logica dell'improvvisazione e del ripiego. Dobbiamo pensare ad una nuova organizzazione del lavoro. Dobbiamo ridare dignità ad una professione importante per il turismo. Il cameriere deve diventare un divulgatore del nostro territorio, della nostra enogastronomia. E se le scuole alberghiere riescono sempre meno ad attirare l'attenzione degli adolescenti, dobbiamo pensare ad una nuova forma di formazione che esca dalla logica del obbligo scolastico, una formazione continua che rimotivi gli attuali addetti e soprattutto che formi con corsi brevi altri giovani e non disposti ad essere protagonisti della promozione dell'enogastronomia della nostra provincia attraverso la ristorazione.

Gabriele Speziale: una vita tra i tavoli

Un'occasione particolare di quando era ancora bambino, un matrimonio, l'entrare in un ristorante, un bel ristorante e lasciarsi affascinare dall'eleganza, della preparazione della tavola. Un'arte che poi imparerà a definire con un termine francese: mise en plance. Tovaglie, tovaglioli, addobbi floreali, sei posate e 3 bicchieri perfettamente allineati secondo una logica che non conosceva. E poi i camerieri, elegantissimi, gilet e pantaloni neri, camicia bianca, farfallino, anche le ragazze elegantissime servivano con grande stile nel piatto il risotto agli asparagi, tenendo una pirofila ben diritta sul palmo dell'altra mano. C'era anche un uomo elegantissimo, che girava tra i tavoli. Non portava i piatti, guardava, osservava i camerieri e con espressioni facciali appena percettibili approvava o disapprovava il loro lavoro. Più tardi scoprirà che quella figura era il maître. Quel giorno ha deciso che il suo futuro professionale sarebbe stato in una elegante sala da pranzo, ma sicuramente non immaginava che un giorno sarebbe stato insignito del prestigioso premio Gastgebers des Jahres assegnato da Gault & Millau, il massimo riconoscimento elvetico per il personale di sala.

Gabriele Speziali, 63 anni di Talamona, mi racconta la sua storia, con passione, forse anche con un po' di nostalgia. Parte da lontano, da quando è entrato per la prima vota alla scuola alberghiera di Sondrio, dove da alcuni anni si tenevano i corsi biennali di sala bar e di cucina. Una scuola dove la pratica professionale occupava molte ore del percorso formativo e riusciva a creare motivazioni e passione per i servizi dedicati alla ristorazione. Erano gli anni dove c'era anche la possibilità di completare la formazione con un corso dedicato ai futuri addetti alla ristorazione sulle grandi navi di crociera. E Gabriele lasciò la Valtellina, gli affetti familiari per Rapallo dove per un anno si impegnò per imparare un lavoro che lo porterà in giro per il mondo. Il migliore del corso, fu anche premiato con una penna stilografica Aurora con pennino d'oro, che regalò a suo padre per il compleanno.

L'esame finale comprendeva anche la prova di nuoto. "Io montanaro" racconta "non sapevo assolutamente nuotare, ma con la complicità del direttore della scuola mi feci sostituire da un ragazzo del lago, uno dei primi dell'elenco, io ero uno degli ultimi e così riuscii a superare anche quella difficolta. Tornai a casa felicissimo e dopo circa un mese son stato chiamato per il mio primo imbarco. Avevo 16 anni. La grande Eugenio Costa, 80.000 tonnellate di stazza, 800 dipendenti, si partiva da Genova e poi Barcellona, Lisbona, Messina. Ero stato il migliore del corso e così iniziai subito con una mansione superiore, non commis de barasseur, ma già come garzone di seconda, e dopo un mese diventai subito garzone di prima, una specie di demi chef con il mio piccolo rango. Fu una bellissima esperienza, colleghi quasi tutti italiani, solo qualche nord africano e qualche svizzero. Ottimo stipendio. Siamo nel 1976, 245 mila lire al mese che si raddoppiavano con le mance a fine stagione. Un lavoro impegnativo perché sulla nave i momenti di somministrazione pasti erano tanti, si iniziava alle sette con la prima colazione e si finiva alle due di notte con la sorpresa gastronomica in discoteca, ma l'organizzazione era ottima, i turni prevedevano 3 servizi al giorno e permettevano quindi anche molti momenti di riposo."

Gabriele lavorò sulle navi per diciotto mesi, poi tornato in Valtellina, rinunciò ad una bellissima offerta, 8 mesi di navigazione per il giro del mondo in 85 giorni, con l'Eugenio Costa e preferì iniziare a lavorare in Svizzera. Bellinzona, per 18 mesi, poi riuscì ad entrare al ristorante Bianchi di Lugano. "Un ottimo ristorante," continua a raccontare "considerato il migliore del Ticino e anche fuori, il classico ristorante con un'organizzazione che rispecchiava perfettamente la struttura gerarchia del servizio di sala e di cucina. Mi assumono, ma il mio curriculum, l'esperienza sulle navi, non viene considerato. Lì c'era una diversa organizzazione di servizio. Così riparto da zero, commis de barasseur. Ma non mi demoralizzo, partire da zero è stara una bellissima esperienza di impegno, determinazione, voglia di risalire e in poco tempo risalgo la gerarchia, commis de suite, demi chef de rang, chef de rang, e mi sono fermato. 

Avevo conosciuto la mia futura moglie, il desiderio di sposarmi, di mettere su casa e la necessità di guadagnare di più. Per quattro anni due stagioni all'anno, invernale a St. Moritz, estiva a Lugano. Lavoro duro ma ottimi guadagni. Lavoravo a percentuale 13,04%, tanti turni, spesso volontariamente aggiuntivi per sostituire i colleghi che volevano una serata libera che mi permettevano di incrementare le mie entrate quotidiane. Tornai al Bianchi, siamo nel 1989, come maître, esperienza breve perché alla fine dell'anno il ristorante chiude, ma esperienza fortunata perché conosco una persona importante che mi invita a presentarmi a Villa Principe Leopoldo di Lugano, dove inizio subito come chef de rang e in pochi anni raggiugo l'apice della carriera come maître sommelier."

Poi comincia a raccontarmi le sue esperienze presso il prestigioso Hotel a cinque stelle di Lugano, un racconto ricco di emozioni, del piacere di stare in sala da pranzo a consigliare i vini ai clienti, di amicizie, di ottimi rapporti con i colleghi e con i dirigenti dell'albergo. Una lunga carriera vissuta per molto tempo occupandosi della sua passione il vino. "La mia passione è sempre stata il vino e il potermi dedicare a questo settore è stata una delle più belle soddisfazioni del mio lavoro. Come sommelier de la maison ho iniziato con una settantina di etichette che in dieci anni sono diventate più di settecento."

Più di trent'anni di lavoro ricco di impegno servendo vari personaggi politici, manager di livello internazionale, campioni sportivi e artisti del calibro di Michael Schumacher, Ray Charles, Robert De Niro, Bob Dylan. Ma anche di riconoscimeli importanti come il titolo nel 1995 di "Miglior maître dell'anno" o la vittoria finale della trasmissione "Numero Uno", format RAI condotto da Pippo Baudo dedicata ai migliori professionisti di diverse categorie professionali. E a conclusione della carriera, il più prestigioso, quello che sicuramente ha maggiormente commosso Gabriele nel riceverlo: il Gastgebers des Jahres assegnato da Gault & Millau, il massimo riconoscimento elvetico per il personale di sala.

E adesso una pensione meritata, che trascorre nella sua casetta di Morbegno, dedicandosi alla nipotina, alla mamma anziana, a qualche amico nella ristorazione, un periodo tranquillo, con la testa comunque che si muove, perché la passione del vino non si può abbandonare ." Qualche idea c'è" mi dice sorridendo… e sicuramente sentiremo ancora a parlare di lui, perché i Numeri Uno non possono non mettere a disposizione della collettività la loro professionalità, perché a sessant'anni oggi si è ancora giovani e quindi si può, anzi si deve.