“Cupà e fa su 'l ciùn”
01.02.2022
C'era sempre la nonna, vicino ai bambini, che cercava di giustificare quei gesti crudeli, ricordando la bontà dei salumi che poi tutti avrebbero assaggiato e apprezzato per il profumo, per il sapore di carne fresca e di spezie, ma soprattutto perché avrebbero riempito le pance vuote. Un torto crudele, ma una necessità e così adagio adagio le urla del povero animale, la testa staccata, il colore rosso del sangue per terra che lentamente l'acqua portava via facendo strani disegni sul terreno, si trasformavano in un'obbligata accettazione. Anche per quei bambini che avevano chiuso gli occhi, che si erano voltati, che si erano "tappati" le orecchie con le mani ma che poi sorridevano con gli occhi spalancati per l'abbondanza di salumi presenti sul tavolo di legno. E allora la crudeltà veniva dimenticata e l'uccisione del maiale diventava la festa della famiglia, dei vicini, della cena tutti insieme.
Era il rito del mese di dicembre o gennaio. Immagini che sono rimaste nella memoria di molti valtellinesi della mia generazione, immagini immortalate nel film "l'albero degli zoccoli" dal grande maestro Ermanno Olmi che magistralmente ha mostrato la giornata della macellazione del maiale in un'aia di un'azienda agricola bergamasca in una fredda piovosa giornata invernale. Una pagina di storia contadina crudele, veritiera, ma piena di poesia che credo sia rimasta nel cuore di molti spettatori.
Un rito che continua a ripetersi in diversi paesi della provincia di Sondrio, dove ancora oggi il maiale viene ucciso nell'aia dell'azienda, viene appeso, pulito e trasformato in salumi, ovviamente prodotti solo per l'auto consumo. Una pratica permessa dalle varie leggi sanitarie, con il solo obbligo della comunicazione al veterinario per il prelievo di un campione di muscolo per le analisi di routine atte a verificare possibili malattie parassitarie.
Certo non c'è più la crudeltà dello sgozzamento, oggi il maiale viene stordito con la pistola a proiettile captivo, ma l'antico rito si perpetua ancora, grazie alla professionalità di macellai ambulanti che ancora operano sul nostro territorio.
E allora eccomi a Montagna presso una piccola azienda agricola dove sta per iniziare il rito del "cupà 'l ciùn".
È una bellissima giornata di fine gennaio, una temperatura quasi primaverile.
Tutto è pronto. L'acqua bolle nei grandi bidoni, il maiale a digiuno nella porcilaia è pronto per essere sacrificato. il macellaio ambulante ha appena scaricato i suoi attrezzi, coltelli, corde carrucole. Si chiama Michele, quarantadue anni, fisico robusto, quasi trent'anni di esperienza in giro per le varie aziende. Un lavoro iniziato a quattordici anni, rubando il mestiere ad un altro macellaio che girava nei vari paesi... perché il mestiere del norcino si impara solo sul posto. Lunghi inverni di lavoro al freddo per arrivare ad avere una professionalità sicuramente riconosciuta dai tanti contadini che negli anni passati l'hanno sempre cercato, aspettando pazientemente il loro turno. Ma ancora oggi, anche se con meno frequenza, Michele non fa mancare il suo saper fare ai diversi contadini che hanno scelto, magari per comodità, di continuare a macellare il loro maiale in casa.
Il nostro contadino di Montagna si muove tranquillo nel grande cortile. Aggiunge alcuni pezzi di legna al fuoco che riscalda l'acqua, entra nella porcilaia, guarda il suo maiale che ha allevato con passione come la tradizione vuole.
Lui ha acquistato il maialino a marzo, pesava 25 chilogrammi e con pazienza l'ha "tirato su" per 10 mesi portandolo ad un peso di circa 200 kg. "Una crescita lenta, per far maturare bene la carne, per renderla più morbida, meno grassa, più squisita, il segreto per una giusta conservazione... un'alimentazione a base di cerali, farina, tanta verdura derivante dagli scarti della campagna, acqua, e poi ogni tanto lasciandolo libero nel prato ...perché anche un po' di erba fa bene." Mi dice orgoglioso del suo animale.
Entriamo nella porcilaia. Le nostre voci sono coperte dal grugnito dell'animale che dimostra una forte agitazione, come se sentisse un qualcosa di diverso rispetto alle giornate trascorse tranquille coccolato dal suo padrone.
Michele riesce a prenderlo e con decisione lo tira verso l'aia. Un colpo con la pistola a proiettile captivo, ultimi movimenti agitati e poi eccolo a terra fermo, completamente stordito. Pronto per essere legato, appeso per le zampe posteriori attraverso catene, corde e carrucole per la pesatura e soprattutto per il dissanguamento, operazione delicata e importantissima per il buon esito della macellazione. Tutto il sangue deve essere eliminato. Il liquido scuro viene raccolto in un secchiello. Due uomini alzano e abbassano le zampe anteriori per alcuni secondi e dal foro praticato sopra il petto escono fiotti di sangue che aumentano in base alla pressione fatte sulle zampe.
Le corde si abbassano e lentamente il maiale viene appoggiato su un piano. Inizia la depilazione, un continuo bagno di acqua bollente sul corpo coperto da setole e la raschiatura delle stesse attraverso la lama del coltello. Le grosse mani di Michele muovono agilmente la lama sul corpo dell'animale che inizia a mostrare la sua pelle rosa. Movimenti sicuri, precisi, decisi ma delicati, sapienti che con l'aiuto dell'acqua bollente permettono il facile distacco dei folti peli. E dopo circa un'ora, dopo un lungo lavoro con spostamenti del corpo in varie posizioni per permettere una pulizia completa, ecco il corpo del maiale nudo, appoggiato sulla schiena, con le zampe rivolte verso l'alto e le piccole mammelle che spuntano dalla pancia rasata e rosa.
Un lavoro, metodico, eseguito da Michele e da due aiutanti con cura e pazienza in tutte le parti del corpo, comprese le orecchie, il codino e i piedi che diventeranno probabilmente importanti ingredienti di un piatto che sa di antica tradizione. Le zampe del maiale con patate e castagne bianche (pesciò con tartufui e castegni).
Un ultimo sguardo per controllare il lavoro, per verificare se tutte le setole sono state tolte ed ecco che le grosse mani di Michele iniziano a tirare le corde, fin quando il corpo dell'animale appare nella sua grandezza nuovamente appeso mostrando la cotenna pulita, rasa, di un colore rosa brillante per i raggi del sole che lo accarezzano.
Continua la pulizia con la fiamma di un cannello poi con l'acqua corrente attraverso una gomma, l'asciugatura con uno asciugamano ed ecco il distacco della testa che viene delicatamente appesa. Poi la lama del coltello si avvicina al ventre dell'animale, un taglio preciso longitudinale, i visceri fuoriescono e vengono raccolti in un contenitore.
Un tempo questo era il momento delle donne, che finito il lavoro di trasporto dell'acqua bollente, iniziavano a dedicare il loro tempo alla pulizia delle budella passandole in acqua e aceto per togliere ogni cattivo odore residuo ed erano poi utilizzate come involucro per la preparazione degli insaccati. Un lavoro che oggi non si fa quasi più. Oggi gli involucri, sempre di budella naturale, vengono acquistati.
Michele continua il suo lavoro: è la volta del cuore e del fegato, del distacco delle ossa dello sterno e poi lentamente l'animale viene sezionato finché rimangono sole le corde e le catene che penzolano.
Ecco, la prima parte del
rito dell'uccisione del maiale è terminata. Le parti sezionate, sono pronte per
essere pulite, tagliate, tritate, separate, miscelate alle spezie, spruzzate
con il vino ma soprattutto selezionate per i vari salumi: i salami con le carni
migliori, macinate a grana fine e con il lardo più compatto e più bianco, i
cacciatori (luganeghin) più piccoli dei precedenti, i salami di testa con la
carne della testa e un po' di cotenna, i cotechini con la cotenna e carne di
scarto, le salsicce di sangue con il sangue cotto e poca carne. Ma non mancherà
la mortadella di fegato, carne e lardo, il cui impasto è spesso bagnato con il
vin brulè e ancora quei pezzi di maiale
fatti stagionare interi dopo esser stati messi in salamoia di vino, spezie e
sale: il culatello, la pancetta, la coppa, la bondiola. E naturalmente non mancherà la gioia del nostro agricoltore di Montagna di
entrare in cantina, dopo alcune settimane, sentire un profumo particolare,
guardare in alto, staccare una fila di cacciatori e portarli in cucina con
orgoglio per accompagnare la polenta.